La corsa ai like tra le maglie della rete: tutto tranne che un posto per bambini
Vicini ma lontani, i bambini sui social sono spesso soli tra le maglie della rete, alla ricerca di conferme a colpi di like. A noi, ma non solo, il compito di proteggerli ad ogni costo.
Basta indicare un’età diversa, per prendere parte al grande show.
Non importa se la strada che c’è davanti è quella sbagliata o a fondo cieco. Se porta più like, sarà comunque quella che imboccheranno.
Questa volta il protagonista non è Pinocchio, ma i nostri figli e non siamo nel Paese dei Balocchi, ma nella vita reale. Che di reale ahinoi ha poco o niente.
Quello che è accaduto alla bambina di Palermo con TikTok, a fine settembre a Napoli e chissà quante altre volte ancora è il drammatico risvolto di una trappola oscura.
Una sequela di “challenge dell’orrore”, che nelle conseguenze ricorda “Blue Whale”, la sfida on line che porta ad atti di autolesionismo e, alla fine, anche al suicidio.
La cronaca dice che si tratta di famiglie normali e spalanca abissi di orrori, con cui mai avremmo immaginato di confrontarci come genitori. Drammi che si consumano dietro a una porta di casa, nel luogo reputato più sicuro per i bambini.
Si bambini, perché è proprio questo il punto. L’età sbagliata per prevedere e contenere i rischi e le implicazioni, nascoste tra le maglie del vasto mondo della rete. Praticamente come se li mandassimo in giro per il Mondo da soli: a una certa età è un’esperienza appagante, a 10 anni un grande rischio.
TREDICI ANNI
C’è un motivo per il quale psicologi e psicoterapeuti sono concordi nel dire che è a 13 anni, l’età nella quale concedere il cellulare.
Perché fino a 13 anni fisiologicamente il sistema limbico dei bambini è ancora in formazione. Prima di questa età, devono ancora acquisire quei comportamenti di autoregolazione, che impareranno solo più avanti e dentro la relazione reale con l’adulto.
La parte emotiva del cervello, che rincorre le emozioni e la gratificazione immediata è molto attiva, mentre la parte che pensa, che prevede le implicazioni delle proprie azioni e che controlla le emozioni è ancora parecchio immatura.
In sostanza, se li spingi a riflettere sanno cosa è giusto o sbagliato, ma presi dall’euforia del momento, potrebbero non agire con la stessa lucidità.
E non sempre si può riavvolgere il nastro e tornare indietro.
Lo Smartphone è il più reale degli sguardi.
E’ questa la soglia minima anche per indurire la scorza dall’emulazione e dalla dipendenza che generano i Social Network.
Una rappresentazione irrealistica della realtà, del coraggio e della bellezza, dove a colpi di Like si gioca in toto la partita dell’autostima.
Lo Smartphone diventa il più reale degli sguardi, con YouTube, Instagram e TikTok che piace tanto ai più piccoli, proprio perché è un trampolino di lancio per arrivare ad avere più successo.
Troppo facile caderci, troppo forte la voglia di provare la sensazione estrema di sentirsi abile e coraggioso.
Soprattutto se l’invito entra sotto forma di gioco. Come quando si cammina su un cornicione o si fa un selfie estremo sui binari della ferrovia. Prove estreme di coraggio, che diventano interessanti perché avvengono su un social, davanti a un pubblico di altri follower, pronto a mettere like, mentre sta facendo la stessa cosa.
Ricominciamo a mettere i paletti.
Sarebbe molto bello che un colpo di spugna facesse sparire dagli occhi dei minori tutto il male di Internet.
Lì, dove la loro voglia di sentirsi grandi è intercettata, galvanizzata e governata da regole, che funzionano esattamente al contrario.
Ma se questo non è possibile, la famiglia deve funzionare come un buon allenatore, che sa mettere i giusti confini, in una prospettiva progressiva dell’autonomia della crescita.
A rischio certo di creare dei conflitti, soprattutto in questo periodo, rivendichiamo il nostro ruolo educativo.
Se l’età minima richiesta per l’iscrizione ad Instagram, Facebook e TikTok è di tredici anni, che sia questa anche l’età per comprare loro un cellulare personale.
Se è necessario aver compiuto almeno 13 anni per giocare online con sconosciuti, facciamo in modo che aspettino per diventare consapevoli dei rischi, o quantomeno utilizziamo il “parental control”, per vigilare o bloccare l’accesso a determinate attività.
Poi, a costo di sembrare cavernicoli, non dobbiamo avere paura di mancare di fiducia o di invadere la loro privacy, se pretendiamo di essere presenti e controllare quello che fanno in rete.
E’ una sfida impegnativa, senza dubbio, ma anche un nostro dovere proteggerli da qualcosa che non sono in grado di fronteggiare.
E ricordiamo che è lo sguardo di noi genitori che genera la percezione del valore che un figlio sente di avere. E questo è amore.
Non lasciateci soli
Sull’altro fronte, occorrerebbe che si facesse più rumore anche verso le Autorità competenti, chiedendo e pretendendo che la rete diventasse un territorio veramente più regolato.
Il problema dell’età minima reale sarebbe più facile da far rispettare, agganciando il profilo a un codice fiscale e pretendendo l’invio di un documento d’identità.
A quel punto probabilmente crollerebbero i numeri degli utenti bambini sui social, ma avremo vinto tutti qualcosa di molto importante!