Come allenare i giovani alla resilienza
Secondo uno studio Oecd (Students’ Well-Being: Pisa 2015 Results) gli studenti italiani si dichiarano, al 70%, ansiosi, rispetto a una media Ocse del 55%.
Oggi, l’associazione che rappresento, è giunta alla fine di un percorso dedicato agli adolescenti a rischio durato un anno scolastico e – dati alla mano – abbiamo potuto analizzare cosa pensano i ragazzi su varie tematiche.
Mi dispiace rilevare che è vero, i ragazzi d’oggi sono estremamente fragili.
La maggioranza di loro ha infatti dichiarato di provare spesso ansia, di avere paura di fallire e di preferire il “non ci provo così non ci rimango male”, palesando un malessere quanto mai diffuso e pericoloso.
Cos’è successo ai giovani pieni di speranze e di aspirazioni, che d’improvviso dicono di non “poter sopportare il peso di un fallimento?
Vi sono ovviamente molte ragioni: a volte a incidere è il contesto sociale, altre volte la personalità che obbliga questi adolescenti a volere troppo da se stessi, altre volte pesano le aspettative dei genitori, altre ancora pesa, in maniera rilevante, la componente genetica e la familiarità con il disturbo ossessivo compulsivo, o con altre patologie simili.
Abbiamo degli strumenti a disposizione, usiamoli
Resilienza, in estrema sintesi, significa sapersi rialzare dopo un fallimento, un momento difficile, una caduta, una crisi.
Essere resistenti ad un colpo significa sapervi fare scudo.
Essere resilienti significa sapersi rialzare o riprendere dopo il colpo.
Non c’è nulla di sbagliato nel fallire, è molto sbagliato non provarci a prescindere.
Quanto più la vita si fa dura e competitiva, tanto più il fattore psicologico è in grado di fare la differenza.
Diventa essenziale per un genitore capire e intervenire.
Alcune domande chiave da porre possono essere:
1. Che desideri stai frenando a causa di capacità che ti mancano?
2. In quali campi ti senti bravo e in quali meno?
3. Quali progetti o idee hai frenato perché non ti consideravi all’altezza?
4. Guardando avanti, cosa ti darebbe soddisfazione, cosa vorresti dire di aver fatto tra 10 anni?
5. Di cosa ti pentiresti se dovessi capire di non poterlo fare più?
6. Cosa vorresti poter dire di aver fatto di buono, il prossimo mese?
Facciamo un elenco di idee o progetti anche ambiziosi che ti darebbero gratificazione, sogniamo ad occhi aperti per un pò.
7. Se dovessimo pensare ad una tua giornata ideale, come sarebbe?
8. In un anno ideale, cosa faresti?
9. Quanto siamo lontani adesso da (… sentirsi bene, sentirsi felici, sentirsi gratificati, aver raggiunto i tuoi scopi, etc…), e perché secondo te?
Nell’osservare ma soprattutto ascoltare i ragionamenti, un genitore potrà concentrarsi non solo sui contenuti, ma anche sul senso generale di possibilità, di autoefficacia, sulle auto-percezioni, sulle credenze, sugli archetipi di sè che emergono, sullo spirito di avventura e ricerca, o invece di rinuncia e disfattismo che permeano i ragazzi.
Su questi è importante lavorare seriamente, ancor più che sui contenuti.
Tre consigli
1. Insegnare a considerare l’ansia come un’opportunità da sfruttare per un migliore rendimento. Il disturbo in questione, infatti, aumenta i livelli di adrenalina nell’organismo e quindi la concentrazione.
2. Insegnare che l’ansia si può gestire: il problema in questione non deve essere visto nel suo complesso, ma nelle sue singole parti da affrontare una per volta. E tutto sarà più semplice.
3. Riportare alla mente tutti i momenti in cui il ragazzo pensava che non ce l’avrebbe fatta ed invece è andato tutto per il meglio. Guardarsi indietro e ripensare a tutto quello che si è fatto è la chiave per sconfiggere anche il peggiore dei catastrofismi.
Fermo restando che ciascuno ha delle problematiche differenti, i giovani sono accomunati dal fatto che “non conoscono la tolleranza alla frustrazione, per questo cercano sempre un rimedio al di fuori di sé”.