Le pagelle delle elementari: quando i voti fanno a pezzi l’autostima
Noi insegnanti sappiamo che uno dei compiti più difficili del nostro lavoro è quello di valutare il percorso dei singoli alunni. Almeno per me è così.
È difficilissimo dare un voto. Soprattutto se la materia umana che abbiamo di fronte è nell’età della crescita. Nella fase delle operazioni concrete, dentro ad una storia che non conosciamo fino in fondo, ma che determina la capacità di apprendere.
La valutazione, per quanto se ne dica, non è mai oggettiva, neanche quando si prova a valutare una competenza specifica.
In quel giudizio espresso, c’è sempre una variabile importante che non è quantificabile e pesa: la relazione che si instaura tra ogni allievo e il suo maestro.
Per quanto mi riguarda non è ammissibile dare una votazione al di sotto del sei in quella fascia di età che corrisponde alla scuola primaria.
Come insegnante credo che per i bambini i voti non abbiano valore. Loro hanno bisogno di sapere cosa sanno fare e in cosa devono migliorare, per questo credo molto nell’autovalutazione, ovvero nella consapevolezza per l’alunno di capire quali sono i suoi punti di forza e i limiti.
Io non metto mai un voto numerico, che trovo privo di contenuti, alla fine di una consegna. Chiedo invece ai bambini attraverso un semaforo (rosso: devo ancora lavorarci su/ giallo: ci sono quasi/ verde: ho capito) di autovalutare il proprio lavoro.
Questo modo di procedere tiene due risultati, che riflettano sul loro processo di apprendimento e che abbiano lo stimolo a fare meglio.
Credo che i bambini abbiano una possibilità di miglioramento attraverso il rafforzamento di ciò che sanno fare.
Difficilmente un cinque o un misero sei stimolano gli alunni a crescere, caso mai, li portano a perdere la fiducia nelle loro potenzialità. E, spesso, a rinunciare.
L’unico modo che ha il bambino per sviluppare le proprie capacità e migliorare in quelle zone che gli risultano ostiche è attraverso la fiducia dell’adulto. Se l’adulto crede nelle sue possibilità lo farà anche il bambino, altrimenti lui tenderà ad arrendersi.
Se chiedete a un bambino qual è la materia che gli piace di più, spesso la collegherà all’insegnante con cui ha una relazione più significativa.
Un insegnante dovrebbe possedere capacità empatiche, tenere conto della storia dei propri alunni, del modo in cui apprendono (vedi le intelligenze multiple di Gardner) e dovrebbe adoperarsi per creare una relazione significativa e fertile all’interno del processo di apprendimento dei propri alunni.
Se poi, i Programmi Ministeriali ci dicono che abbiamo due anni di tempo per insegnare ai bambini ad acquisire gli strumenti di base per imparare a leggere a scrivere, mi dovete spiegare perché alla fine della prima un bambino dovrebbe avere un 5 in pagella, tenendo conto che gli screening per i disturbi dell’apprendimento si fanno, per quanto riguarda la lingua italiana a fine seconda, e per quanto riguarda la matematica durante la classe terza.
Questo ci fa capire che le variabili a cui bisogna fare attenzione sono molte. E che dentro a un voto non ci stia niente. Dentro a una valutazione formativa ci sta tutto il resto.
Il bambino. La sua storia. La comprensione del suo modo di apprendere. La possibilità che gli fornisce l’adulto di migliorarsi.
Perché, un bambino apprende sempre, se non succede è perché non lo abbiamo aiutato abbastanza.