Boom di diagnosi precoci? Alcune riflessioni.

by / Scrivi un commento
eccesso di diagnosi precoci sui bambini

I bambini di oggi sono un casino. 
Li osservo a scuola: non stanno fermi, rispondono agli adulti con la strafottenza di un adolescente, il tratto grafico spesso è incerto, non sanno allacciarsi le scarpe o infilarsi la giacca.

Le capacità di attenzione sono minime.

Si stancano subito. Sono frettolosi nelle consegne. Il linguaggio è confuso. Non hanno cura delle loro cose, le perdono, le rompono. In compenso spesso arrivano a scuola che sanno leggere e scrivere. E comunque, io li adoro.

Potrei fare un lungo elenco delle difficoltà, mancanze, manchevolezze. Nel mio caso, spesso, sono i maschi ad essere più incasinati delle femmine. 
Le femmine, in larga parte, stanno più composte, mettono a posto, tengono in ordine le loro cose, sono più affidabili, più tranquille. Insomma, più facili da gestire.

diagnosi precoce sui bambini


In questo periodo si dibatte spesso tra diagnosi precoci e “buona educazione”.

Si scrive e si ripete che un tempo tutti questi bambini diagnosticati DSA, BES, ecc… non esistevano.

Sarà vero?

Un tempo i bambini stavano a scuola 4 ore e non 6 o 8. Un tempo tornavano a casa e la madre o la nonna o un’altra figura femminile familiare era dedita.
 Un tempo c’era solo un quadernino a quadretti e uno righe, l’album del disegno e il sussidiario.

Oggi c’è il quadernone con la copertina gialla di italiano, quello blu di matematica, quello rosso di scienze, quello arancio di storia e quello viola di poesia. Il sussidiario è quello delle discipline: quattro tomi da portarsi dietro con mille immagini e stimoli differenti, allegati cd e chi più ne ha più ne metta.

Un tempo, finita la scuola, dopo la paginetta di compiti e la lezioncina da studiare, si giocava sotto casa. Oggi i nostri bambini sono impegnati in mille attività: nuoto, calcio, inglese, basket, taekwondo

La precarietà del futuro ci porta a investire “sui figli” e non solo, in modo più o meno inconsapevole. Abbiamo paura, e dando loro più stimoli pensiamo che possano avere maggiori possibilità di riuscire, trovare un buon lavoro, costruirsi una famiglia.

Qualcuno potrebbe biasimarci?

Un tempo la maestra era la maestra, per i genitori i bambini dovevano obbedire e basta.

Oggi le famiglie s’interrogano sull’educazione, si fanno domande e si informano. I Diritti dei bambini sono tema recente.

A volte, siccome si lavora tanto e ci si sente in colpa, noi genitori concediamo e permettiamo, e non sempre facciamo bene. Ma ormai sapete come la penso: si fa quel che si può.

E siccome penso che i bambini siano lo specchio della società in cui viviamo, i nostri figli sono decisamente più fragili.

Provo a fare un po’ di chiarezza.

Se dovessi guardare ora i miei alunni (classe prima elementare) potrei dire che la maggior parte dei bambini ha difficoltà di attenzione ed è iperattiva.

Questi due aspetti sono l’immagine di ciò che siamo noi adulti: facciamo mille cose contemporaneamente, per non perdere colpi, per non rimanere indietro, per farci stare tutto e, spesso, siamo distratti per lo stesso motivo.

diagnosi precoci sui bambini

Secondo aspetto: la nostra cultura, mi dispiace dirlo, è prevalentemente maschilista, quindi, alle femmine vengono richieste delle cose (sii buona, comportati bene, stai composta, metti in ordine) sin da subito. Ai maschi no.

Non c’è niente da fare, ci sono retaggi che ci portiamo dietro da sempre. Da un bambino ci aspettiamo che sia agile, forte, che si arrampichi, che salti. Non di certo che stia seduto composto e che metta sempre in ordine.

Noi mamme lo sappiamo, in cuor nostro che è così. Se vedessimo il nostro “maschietto” troppo seduto, troppo silenzioso, forse inizieremmo a preoccuparci.

Terzo aspetto: i Disturbi di Apprendimento sono diagnosticabili alla fine della seconda elementare, non prima. E non di certo dai docenti.

Ogni scuola dovrebbe avere un’insegnante specializzata che somministra ai bambini delle “prove” standardizzate in cui si evidenziano problematiche relative ai suddetti disturbi. Solo un neuropsichiatra della Asl o di centri privati può stilare una diagnosi.

I cosiddetti Bes, sono bambini con bisogni educativi speciali, bambini che in ambito scolastico hanno bisogno di particolari attenzioni. Tutti dovrebbero essere bambini con bisogni speciali, perché ogni bambino porta la propria storia.

Etichettandoli così lo Stato si è manlevato da aggiungere risorse per tutti e la scuola ha sempre meno fondi e appunto risorse umane.

Non si investe nella cultura e nell’educazione e spesso gli insegnanti hanno classi numerose, con bambini sempre più complessi.

Le programmazioni, così come i “voti” dovrebbero essere tarate e pensate in base alla storia di ogni bambino, differenziate e individualizzate, perché ogni bimbo ha il suo percorso.

Come insegnante conosco la fatica e so che bisogna dare ai bimbi un tempo giusto.

So che quasi tutti, soprattutto quando arrivano a scuola, sono iperattivi. So che spesso tutti avrebbero bisogno di attenzioni speciali. So che se le classi non fossero classi-pollaio, se ci fossero le insegnanti di sostegno dove dovrebbero esserci, se noi docenti avessimo un supervisore che ci aiuti quando siamo in difficoltà, forse le cose andrebbero meglio.

Non credo che un tempo non ci fossero bimbi dislessici, discalculici, disortografici, ma il tutto si risolveva con gli alunni meritevoli nei primi banchi e gli altri in fondo.

Nessuno s’interessava di quelli che non riuscivano, li mettevano dietro alla lavagna con le orecchie da asino e a casa gli tiravano una sberla o li mettevano in punizione.

Non era meglio. Mettiamocelo nella testa.

diagnosi precoci sui bambini

Oggi ci occupiamo dei nostri bambini, anche di quelli che arrancano. E ci mettiamo in discussione, come docenti e come genitori.

Nella mia esperienza di insegnante ho visto bambini che facevano una fatica tripla rispetto agli altri, che si sentivano una nullità. In quei casi, diagnosticati i disturbi di apprendimento, aiutati con gli strumenti compensativi, sono rinati.

Hanno capito che potevano farcela, come gli altri, che non erano stupidi, semplicemente avevano bisogno di essere aiutati.

E io, sinceramente, non ci trovo nulla di male. Anzi.

È migliorata la loro autostima, studiano di più e s’interessano al sapere. Un tempo sarebbero stati in fondo, nell’ultimo banco e probabilmente non sarebbero andati oltre la terza media.

Nello stesso tempo, dire che a sei anni un bambino è iperattivo o ha difficoltà di concentrazione, è come scoprire l’acqua calda.

Lo ripeto, quasi tutti i bambini, appena arrivano a scuola, sono così.

E se si procede, come insegnanti, seguendo percorsi valutativi e non formativi, se non si dà il tempo giusto, se non si cerca di essere “empatici”, se non si punta sulla relazione, e se si usa come scudo quella quella parolina magica che molti amano e io trovo piena di niente che si chiama
“meritocrazia”, allora possiamo mandarli tutti a farsi una bella diagnosi subito e la facciamo finita.

Ma le diagnosi, quelle serie, fatte al momento giusto, da uno specialista, spesso, salvano.

Chi ha conosciuto ragazzi con DSA lo sa bene.

Portare la bandiera delle “troppe diagnosi” è semplice e non aiuta questi ragazzi che ci hanno messo anni a riconoscere il proprio valore.

Quindi, come genitori non fatevi spaventare da richieste d’aiuto.

Indagate con cautela, fatevi domande, e cercate di dare il giusto peso.

E se quell’aiuto può sostenere i vostri figli, prendetelo e fatene buon uso.

Ci sono insegnanti illuminati e altri no, diffidate di chi sminuisce i problemi.

Pretendete una scuola attenta al percorso e al processo di vostro figlio, non accontentatevi di un voto.

E al contempo siate voi dei genitori attenti, informatevi, leggete e fidatevi di ciò che sentite.

Credo che questa sia l’unica posizione utile.

Ogni bambino è a sé, portatore di una storia e da quella dobbiamo partire.

E come dice Giacomo Stella, Fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia, Ordinario di Psicologia clinica, all’Università di Modena e Reggio Emilia:

ci sono tonnellate di documenti prodotti dalla ricerca che dicono che la dislessia non è una malattia, ma l’espressione di una piccola differenza di alcune aree del cervello, che non impedisce di imparare, ma lo rende molto più faticoso. E in questa società che vuole tutto e subito questa fatica e lentezza non viene tollerata.